Una nuova cornice per il Counseling: Educare agli Stili di Vita Sostenibili

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a cura di Paolo Bartolini e Marco Ferretti, A.S.P.I.C. Counseling & Cultura sede di Ancona.

Per evitare che il counseling si riduca ad un “prodotto” prossimo alla fine del suo ciclo di vita, è fondamentale ripensarne il ruolo alla luce dei più recenti cambiamenti storici, economici e culturali.
Per questo dobbiamo chiederci: dove siamo?, cosa accade intorno a noi? In mancanza di un esame accurato del passaggio epocale che stiamo vivendo, rischieremmo infatti di confinare il counseling nell’astrattezza del dibattito specialistico, soffocandone lo spirito.

In altre parole, stiamo qui sostenendo la necessità di fornire al counseling una nuova cornice identitaria che tenga conto del mutamento antropologico avviato dalla globalizzazione economica.
Il modello insostenibile della crescita infinita (produrre di più, più veloci, per consumare sempre nuove merci) si scontra da almeno trent’anni con i limiti biofisici del pianeta e ha determinato un peggioramento complessivo della qualità di vita di milioni di persone (State of the world, 2010; Gallino, 2010). L’accelerazione incontrollata dei processi tecnologici, l’eccessivo consumo del territorio, lo sconvolgimento degli equilibri climatici, la precarietà lavorativa e il confinamento della politica nei circuiti dello spettacolo, sono tutti segnali di questa deriva (Bevilacqua, 2011). Inoltre – dobbiamo ricordarlo perché riguarda direttamente il futuro del counseling – l’innovazione incessante dei modi di produzione, alimentata da un sistema dei consumi che si regge sull’obsolescenza programmata degli oggetti e sulla stimolazione costante dei desideri, ha moltiplicato le condizioni di stress e alterato pericolosamente la costruzione di quadri di identità stabili e coerenti (Màdera, 1999, 2006; Sennet, 2002).

Queste brevi considerazioni, ormai suffragate da numerosi dati statistici e da riflessioni teoriche di indubbio valore (vedi fra i tanti: Bauman, 2007; Codeluppi, 2009; Cosenza, 2010; Gallino, 2007, 2011; Jackson, 2011; Wilkinson, Pickett, 2009), ci dicono come l’idea stessa di benessere – che fino agli anni ‘80/’90 del secolo scorso era “naturalmente” associata all’innalzamento della ricchezza materiale e all’espansione dei consumi – sia ormai da riformulare nell’ottica più ampia, e meno privatistica, di una nuova sostenibilità sociale e ambientale. Del resto le diverse crisi che l’umanità sta attraversando (economica, ecologica, energetica, ecc.) ci pongono di fronte ad un tornante della storia che richiederà nuovi e importanti adattamenti alla nostra specie, soprattutto per quanto riguarda gli stili di vita. È all’interno di questa cornice che il counseling può trovare sin d’ora il suo posto, smentendo nettamente chi, fra gli addetti ai lavori e nell’opinione pubblica, lo descrive come un intervento psicologico di serie B, in competizione con l’operato di psicologi e psicoterapeuti: dunque perdente in partenza. A differenza di costoro noi crediamo che il counseling possa essere qualcosa di diverso, qualcosa di utile per fronteggiare i cambiamenti di vita che si stanno imponendo nelle società cosiddette avanzate. Lo scenario che abbiamo tracciato poco sopra non lascia dubbi. Per raggiungere un benessere autentico e durevole gli esseri umani dovranno riscoprire alcuni valori da troppo tempo finiti nel dimenticatoio: sobrietà, cooperazione, rispetto, ascolto (di sé e degli altri), cura (delle persone e dell’ambiente), solidarietà, dialogo, responsabilità. E’ interessante notare come questi concetti chiave per una futura società eco-sostenibile appartengano già – almeno in linea ideale – alla cultura del counseling. Il fatto stesso, poi, che il counselor si proponga come un “catalizzatore consapevole del cambiamento” lo rende la figura professionale più adatta per orientare il processo di adattamento creativo alle nuove condizioni storiche che ci aspettano.

Adottando la felice definizione che ne viene data in Austria (ISFOL, 2010), parliamo qui del counselor come di un “consulente di vita e sociale”; un consulente – aggiungiamo noi – che si pone l’obiettivo di accompagnare gradualmente verso stili di vita più sostenibili e salutari i suoi utenti, a partire dal riconoscimento adulto dei propri limiti e delle risorse ancora da sviluppare (empowerment). Questa forma di aiuto e di orientamento esistenziale non coincide con altri interventi attualmente in uso, in quanto il suo campo d’azione eccede ampiamente l’area clinica e psicologica, situandosi al crocevia tra diversi saperi e discipline: sociologia, psicologia, filosofia, antropologia, ecologia. Sostenere la persona nel suo processo di decision making – soprattutto rispetto all’assunzione di nuovi comportamenti nelle sfere dell’alimentazione, dei consumi, delle relazioni interpersonali e delle abitudini quotidiane – è quanto di più “specifico” possa vantare la professione del counselor. Allora ci domandiamo, un po’ provocatoriamente: perché mai l’esercizio di una comprensione empatica associata a precise tecniche motivazionali dovrebbe essere appannaggio dei soli psicologi? Sono infatti le neuroscienze a confermarci che gli esseri umani effettuano quotidianamente delle scelte rispetto a problemi complessi – quelli cioè che mettono in gioco motivazioni, valori, aspirazioni e preferenze – integrando puntualmente aspetti sensoriali, emotivi, cenestesici e cognitivi (Azzone, 2008; Damasio, 1995). È quindi un processo normale quello di giungere a delle decisioni sulla qualità della propria vita, processo che può subire un momentaneo colpo d’arresto in situazioni sfavorevoli, richiedendo l’intervento di un esperto per riavviare regolarmente il suo corso. Il counselor opera da sempre in questa direzione, secondo una logica olistica, per agevolare nella persona una presa di consapevolezza nuova rispetto alle scelte che si rendono necessarie nei diversi passaggi del ciclo di vita. Che debba continuare a farlo acquisendo una rinnovata coscienza dei cambiamenti globali in atto, è condizione imprescindibile per differenziarsi da altri interventi di matrice squisitamente psicologica.
Alla luce di quanto detto fin qui possiamo affermare che l’identità del consulente di vita e sociale richiede:

  1. una conoscenza di base dei principali modelli di counseling;

  2. una competenza relazionale e una conoscenza psicopatologica (che permetta di riconoscere i disturbi che richiedono l’invio dell’utente in terapia);

  3. una conoscenza approfondita dei rapporti che intercorrono fra le disposizioni psico-biologiche dell’individuo e i dispositivi socio-economici e culturali del suo ambiente di riferimento;

  4. la capacità di guidare ed orientare l’altro nei processi di pensiero e di scelta, a partire da un ascolto di sé a 360 gradi (su tutti i piani della persona: cognitivo-simbolico, emotivo, fisiologico, muscolare-posturale);

  5. la capacità di dirigere l’interlocutore verso il riconoscimento del significato, del valore e del senso delle esperienze vissute;

  6. la capacità di supportare cambiamenti significativi negli stili di vita e di relazione della persona, aiutando l’utente a mettere a fuoco gli aspetti positivi della sua esistenza e a sentire la pienezza di una vita autentica comunque dotata di limiti.

Volendo elencare competenze e tecniche che un consulente siffatto deve aver acquisito al termine della sua formazione al counseling, suggeriamo qui le seguenti:

  • saper costruire una relazione umana facilitante, che si basi sulla fiducia e sul rispetto reciproco;

  • dare risposte empatiche, riformulare ed emettere feedback;

  • porre attenzione alla comunicazione verbale, paraverbale e non verbale dell’interlocutore;

  • automonitorare le risonanze emotive durante il colloquio;

  • gestire il setting e predisporre le azioni di counseling adattandole alle diverse fasi del processo di aiuto;

  • agevolare, mediante l’uso di domande, l’esplorazione dei vissuti e la ricerca di soluzioni alternative al problema;

  • fornire nuove chiavi di lettura dei fenomeni, dando all’utente delle restituzioni che gli permettano di cogliere il senso delle dinamiche relazionali presenti nei diversi contesti di vita;

  • facilitare l’inventario delle risorse personali e ambientali;

  • educare la persona a ragionare in modo “sistemico”, riconoscendo di essere parte integrante di sistemi complessi che trascendono gli interessi egoistici dell’individuo e lo includono in un destino comune (coppia, famiglia, comunità, territorio, umanità, biosfera);

  • favorire la composizione dei conflitti con mezzi pacifici e stimolare l’adozione di scelte responsabili basate sul principio di “ecologia dell’azione” (Morin, 2005);

  • illustrare alla persona stili di vita alternativi capaci di veicolare il processo di autorealizzazione in una direzione “sostenibile”;

  • promuovere una nuova conoscenza di sé nel “qui ed ora” mediante l’utilizzo del focusing e di altre tecniche psicocorporee (lavoro sul respiro, sui movimenti, sulle posture, sulle emozioni e sulla propriocezione);

  • aiutare l’utente a valorizzare ciò che è e quel che ha, senza nutrire fantasie irrealistiche e senza perdersi nell’ansia di possesso promossa dalla cultura consumistica;

  • saper descrivere agli interlocutori l’evoluzione storica della professione di counselor, dalle sue origini fino all’attuale figura del “consulente di vita e sociale”.

Affermiamo inoltre la necessità di un ripensamento strategico dei contenuti didattici dei corsi di counseling. Difatti, senza una modifica organica dell’impianto formativo, non è possibile immaginare un counselor adeguatamente preparato a fronteggiare i mutamenti epocali a cui abbiamo accennato in precedenza. La fortuna dell’approccio pluralistico-integrato è quella di potersi adattare in maniera efficace e flessibile ad un nuovo modo di intendere la professione, conservando buona parte delle acquisizioni scientifiche raggiunte negli ultimi anni. Da qui allora possiamo ripartire, provando ad ipotizzare una serie di argomenti e di prassi organizzative che dovrebbero essere comuni a tutte le Scuole di Formazione che intendano guardare al counselor come ad un consulente capace di promuovere stili di vita sostenibili. Ecco i contenuti di base di un possibile percorso di formazione al counseling di I livello:

  • Aspetti sociali, economici ed ecologici della civiltà dei consumi. Rapporto tra disagio esistenziale e dispositivi culturali storicamente determinati.

  • Sostenibilità socio-ambientale e stili di vita.

  • Scienze della complessità e pensiero sistemico.

  • I principali modelli di counseling.

  • Le basi del counseling rogersiano.

  • Tecniche motivazionali e strumenti per il colloquio.

  • Discipline psicocorporee per la consapevolezza (Bioenergetica, Focusing, Gestalt, ecc.).

  • Il potere dell’immaginazione e del simbolico nella costruzione dell’identità (senso di sé e narrazione autobiografica).

  • Obbligatorietà di un percorso personale di crescita (psicoterapia, consulenza filosofica, counseling, ecc.) per tutti i counselor in formazione.

Auspichiamo infine che le abilità del consulente di vita e sociale vengano certificate mediante percorsi formalizzati di validazione delle Unità di Competenza U.C., in linea con le attuali tendenze europee in materia di riconoscimento dei profili professionali. Questa, seppur in sintesi, è la nostra proposta, che assegna al counseling lo status di bene relazionale in una società che inevitabilmente – e speriamo felicemente – sarà chiamata a godere i suoi beni riducendo al contempo la produzione delle merci inutili o dannose (Pallante, 2009).
La transizione dalla civiltà dei consumi (principio di Quantità) ad una futura civiltà del benessere relazionale (principio di Qualità) potrebbe avere nel counselor uno dei suoi grandi protagonisti, purché le Associazioni e le Scuole di Counseling abbiano il coraggio di leggere la professione all’interno delle nuove coordinate che la storia ci sta fornendo.


Bibliografia

AA.VV., State of the world 2010. Trasformare la cultura del consumo, Edizioni Ambiente, 2010
G.F. Azzone, Origine e funzione della mente. Cultura, morale e arte: una storia naturale, Mondadori, 2008
Z. Bauman, Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Erickson, 2007
P. Bevilacqua, Il grande saccheggio. L’età del capitalismo distruttivo, Laterza, 2011
V. Codeluppi, Il biocapitalismo. Verso lo sfruttamento integrale di corpi, cervelli ed emozioni, Bollati Boringhieri, 2008
G. Cosenza, Il nemico insidioso. Lo squilibrio dell’ecosistema e il fallimento della politica, Manifestolibri, 2010
A. Damasio, L’errore di Cartesio, Adelphi, 1995
L. Gallino, Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, Laterza, 2007
L. Gallino, Con i soldi degli altri. Il capitalismo per procura contro l’economia, Einaudi, 2010
L. Gallino, Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, Einaudi, 2011
ISFOL, Istruttoria sulla professione di Counselor in Europa, 2010
T. Jackson, Prosperità senza crescita. Economia per il pianeta reale, Edizioni Ambiente, 2011
R. Màdera, L’animale visionario, Il Saggiatore, 1999
R. Màdera, Il nudo piacere di vivere, Mondadori, 2006
E. Morin, Il metodo, Vol. 6: Etica, Raffaello Cortina, 2005
M. Pallante, La felicità sostenibile. Filosofia e consigli pratici per consumare meno, vivere meglio e uscire dalla crisi, Rizzoli, 2009
R. Sennet, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, 2002
R. Wilkinson, K. Pickett, La misura dell’anima. Perché le disuguaglianze rendono le società più infelici, Feltrinelli, 2009

 

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