Quando il corpo parla: esperienza teatrale e comunicazione non verbale

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a cura di Silvia Panico.

La comunicazione fra gli individui è da sempre oggetto di indagine fin dai tempi più antichi. Nella seconda metà del Novecento, il suo studio, ha ricevuto un notevole interesse da parte di numerosi ricercatori. Tuttavia, la comprensione scientifica della comunicazione umana può dirsi solo agli inizi (nonostante l’enorme mole di ricerche teoriche ed empiriche): non esiste, infatti, ancora una teoria scientifica soddisfacente sotto il profilo epistemologico in grado di illustrare e di capire che cosa sia la comunicazione. Nonostante questo, oggi di comunicazione tutti ne parlano, tutti si sentono in qualche modo competenti e autorizzati a dissertarne. “[…] L’espansione di questo interesse si può sostenere che costituisca l’esito della rivoluzione del paradigma scientifico avvenuto nel Novecento, in cui il concetto di “informazione”[…] rivoluziona l’orizzonte scientifico e introduce una prospettiva di indagine radicalmente differente che, a livello tecnologico, conduce al computer e ai new media, e che, sul piano scientifico, consente la comparsa di nuove discipline come l’informatica, la cibernetica e la psicologia della comunicazione” (Psicologia della comunicazione, L. Anolli) La comunicazione rappresenta oggi un oggetto di studio interdisciplinare: non vi è raggruppamento scientifico che non si occupi della comunicazione adottando il proprio punto di vista. Ovviamente un panorama scientifico così esteso e multiforme implica una frammentazione dei saperi disciplinari: ciascuno di essi prevede approfondimenti settoriali e specifici. Occorre aggiungere che si è partiti, in passato, con lo studio del linguaggio verbale e si è giunti oggi allo studio della comunicazione che è assai più complessa della semplice indagine sul linguaggio. La comunicazione è un’attività che fa riferimento a una molteplicità di differenti sistemi di significazione e segnalazione, comprende il linguaggio ma va anche al di là di questo, in quanto sempre inserito in una rete di relazioni che articola l’interazione comunicativa in un processo senza fine. Tra questa molteplicità di sistemi di segnalazione interessante è porre l’attenzione a quelli della comunicazione non verbale (CNV), che sono ben distinti da quelli della comunicazione verbale. È abbastanza ovvio affermare che la CNV partecipa in modo attivo e autonomo, assieme al sistema linguistico, a generare e a produrre il significato di qualsiasi atto comunicativo. Interessante è, invece, indagare quale siano i termini con cui la CNV dà il suo contributo nella generazione ed elaborazione del significato. La CNV fornisce una rappresentazione spaziale e motoria della realtà e non una rappresentazione proposizionale che rimane esclusiva del linguaggio verbale; ciò comporta che la CNV risulti poco idonea a definire e trasmettere conoscenze: basti pensare ad idee e concetti astratti, ma anche ad eventi o oggetti concreti. Tale condizione è dovuta al fatto che la CNV presenta un grado limitato di convenzionalizzazione (ad eccezione del linguaggio dei sordomuti e degli emblemi). Ma allora perché facciamo ricorso alla CNV in maniera continua e sistematica negli scambi comunicativi? Può essere considerata solo “inutili vestigia di abitudini ancestrali”? (The expression of the emotion in man and a animals, C. Darwin) Le parole sono sempre accompagnate da una gestualità più o meno accentuata, da posture particolari, da un ritaglio simbolico dello spazio della conversazione, da un uso modulato della voce che sembra sottolineare i significati verbali espressi. La specie umana, al pari delle altre specie, fa ricorso alla CNV per ragioni relazionali: i segnali non verbali servono a generare e a sviluppare un’ interazione con gli altri. Il contatto visivo, il sorriso, un certo tono della voce, una sequenza di gesti, possono favorire l’avvio e lo scambio di una conoscenza fra estranei, anche se avviene in maniera casuale. La CNV risulta inoltre fondamentale nel mantenere e rinnovare le relazioni nel corso del tempo. Una relazione non può vivere nel vuoto, ma deve essere costantemente sostenuta con segnali che confermino e rafforzino il tipo di relazione in atto fra due o più persone, sia essa una relazione di dominanza , di amore o di cooperazione.

E poi che la sua mano alla mia pose

con lieve volto, ond’io mi confortai,

mi mise dentro alle segrete cose.”

(Inferno, canto III -Divina Commedia, Dante Alighieri)

Anche il cambiamento psicologico delle relazioni avviene attraverso dei segnali non verbali che alimentano, regolano le relazioni stesse. La CNV serve ad esprimere le emozioni. La voce, la mimica facciale, lo sguardo, i gesti,  la postura, la distanza fisica ecc., convergono insieme per manifestare una data esperienza emotiva congiuntamente con gli aspetti linguistici in funzione di un determinato contesto di interazione. Anche l’estinzione di una relazione è regolata dalla CNV, da una riduzione progressiva a una interruzione repentina dei contatti, a una presa di distanza fisica a una diminuzione di gesti affettivi e così via. In particolare, la psicologia clinica e la psicoterapia fanno ricorso sistematico di determinati segnali non verbali.“Ci siamo presentati, ci siamo seduti[…]ed eccoci qui: come comincerà il paziente? […]In questa fase delicata, dobbiamo saper utilizzare a fondo le nostre capacità di discrezione, di tolleranza e di empatia: per quanto si tratti di cose impalpabili, questi nostri atteggiamenti, comunicati magari con la mimica, con la gestualità, con lo sguardo con il tono della voce, sono massimamente importanti. Creano nel paziente la sensazione di potersi lasciare andare a parlare […]e gli consentono dunque di presentarsi, di presentare cioè la sua realtà psichica.” (Tecniche del colloquio, A.A. Semi) L’efficacia relazionale della CNV dipende dalla stretta connessione tra interazione e relazione. L’interazione è una realtà tangibile e consiste in un evento circoscritto in termini temporali spaziali, in uno scambio comportamentale direttamente osservabile fra i partecipanti. La sequenza regolare e continua del medesimo tipo di interazione genera nel tempo prevedibilità, e come risultato produce la formazione di un modello interattivo fra i partecipanti medesimi che prende il nome direlazione. I sistemi non verbali qualificano per default le singole interazioni e influenzano in modo profondo i modelli relazionali in essere fra i partecipanti. D’altra parte i sistemi non verbali sono in parte appresi dalla propria cultura di appartenenza e sono, a loro volta, modificabili nel corso del tempo. È infatti possibile intervenire sulle modalità comunicative non verbali e procedere a una vera e propria “educazione” del non verbale. Essa riguarda l’impostazione della voce e della gestualità, la regolazione della mimica facciale, dello sguardo e della postura. Questo tipo di percorso è svolto di norma nelle scuole di recitazione teatrale per attori e nei laboratori teatrali a scopo sociale, al fine di accrescere la percezione e la consapevolezza di sé e degli altri, la percezione dello spazio, del tempo e dei ritmi interni ed esterni e di migliorare le abilità di espressione corporea. Nell’ambito dell’esperienza teatrale l’aspetto gestuale e quello cinesico, rappresentano il “veicolo princìpe” (prima ancora della “parola”), nel suo essere fonte inesauribile di conoscenza, comprensione e modificazione cognitiva ed emotiva di sé. “[…] accordate l’azione alla parola, la parola all’azione” (Amleto, W. Shakespeare).Il gesto indica la via della parola” afferma un antico detto Dogon. Gran parte della comunicazione è veicolata attraverso i codici non verbali. Pensiamo, per esempio i film muti: Charlie Chaplin e Buster Keaton svilupparono un’insuperabile capacità espressiva che con l’avvento del sonoro andò inevitabilmente perduta. Il linguaggio non verbale è normalmente molto più efficace del linguaggio verbale per esprimere emozioni complesse o stati d’animo irrisolti o conflittuali; a volte il linguaggio del corpo rivela, a chi lo sa leggere, ciò che il parlante tenta di celare tra le sue parole, oppure ciò che le parole non riescono a spiegare. Il teatro […] una bussola con cui affrontare il disordine della vita” (E.Corrà) E’ attraverso l’espressione e la condivisione (condividere l’esperienza ed esprimere sentimenti, vissuti, pensieri, rielaborandoli) che l’esperienza teatrale rende possibile comunicare e scambiarsi impressioni, stati d’animo, attraverso canali linguistici alternativi a quello verbale.“Il teatro presenta una occasione di quel che potremmo definire l’integrazione, il rifiuto delle maschere, il palesamento della vera essenza: una totalità di reazioni fisico-mentali. Questa possibilità deve essere utilizzata in maniera disciplinata, con piena consapevolezza delle responsabilità che essa implica. È in questo che possiamo scorgere la funzione terapeutica del teatro”(Per un teatro povero, J. Grotwski)Il corpo è un efficace mezzo di comunicazione e di espressione che permette di trasmettere al mondo esterno le proprie sensazioni. Come afferma il medico analista Alexander Lowen nella postura e nell’atteggiamento che assume in ogni suo gesto, il corpo parla un linguaggio che anticipa e trascende l’espressione verbale. Il coinvolgimento delle emozioni e dei processi cognitivi attraverso il “linguaggio corporeo teatrale” trovano espressione e danno forma all’esperienza . Un particolare uso di linguaggi all’interno dei quali l’organizzazione dell’esperienza sensoriale si carica di profondi contenuti interni alla persona, e i sensi vengo visti come “porte” attraverso le quali conoscere il mondo. Le emozioni si rispecchiano nei diversi modi di essere e molte emozioni inespresse verbalmente possono essere decifrate attraverso le “metamorfosi del corpo”. Una modificazione del modo di muoversi, attraverso gli esercizi di un training teatrale specifico si accompagna ad una trasformazione psicologica, in quanto, essendo il corpo un luogo simbolico che contiene e manifesta la storia individuale e collettiva, tramite il movimento, il soggetto può giungere a una comprensione e a una trasformazione di sé. “Il teatro è un incontro. La partitura dell’attore è composta di componenti di contatto umano: “dare e prendere”. Prendere gli altri, stabilire un confronto con se stessi, con la propria esperienza ed i propri pensieri, e dare una risposta. In queste convergenze umane piuttosto intime, si stabilisce sempre questo elemento di “dare e prendere”,. Il processo viene ripetuto ma sempre hic et nunc […]” (Per un teatro povero, J. Grotwski). Recuperare “il gesto”, l’espressione di tutto il corpo, significa riconoscere e apprezzare i mezzi “naturali” di comunicazione sociale a disposizione di ogni singola persona, prima di ricorrere ai mezzi “tecnici” della comunicazione di massa. Il gesto è il prolungamento della parola: l’accompagna e la completa attraverso l’espressione corporea. In particolare il gesto del teatro è il mezzo per raggiungere l’alterità affettiva a cui l’uomo “aspira”, avendo sgombrato il campo dall’invasione del mondo concreto in cui è immerso continuamente. Si tratta di una ricerca fisica, del lavoro del corpo che ascolta, si ascolta, pazientemente agisce e re-agisce fino ad essere mosso nella produzione del gesto che perde meccanicità e acquista naturalezza. Turner parla di perdita dell’io: “Il sé, che normalmente è l’intermediario fra le azioni di un individuo e quelle di un altro, diventa del tutto irrilevante […] un’azione segue all’altra secondo una logica interna che sembra procedere senza bisogno di interventi consapevoli da parte nostra” (Dal rito al teatro, V. Turner) Attraverso il movimento si cerca di superare la tradizionale dicotomia mente-corpo privilegiando un canale comunicativo alternativo a quello verbale, in un contesto gruppale di ricerca-azione in cui il soggetto agisce sul gruppo ed interagendo con questo ne subisce a sua volta le influenze. Si tratta di un processo educativo, dove educare significa (educere) “portare fuori”, in cui la consapevolezza ed una maggiore conoscenza di sé emergono attraverso la pratica espressiva, l’osservazione e il confronto.

 

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